Monitoraggio Satellitare

L'analisi di immagini satellitari multispettrali costituisce uno strumento essenziale per il monitoraggio termico dell’attività vulcanica, fornendo osservazioni frequenti, a basso costo, anche su aree difficilmente rilevabili dal suolo. All’INGV vengono sviluppati algoritmi per il monitoraggio vulcanico basato sull’analisi di immagini satellitari multi-sensore. L'uso combinato di sensori con differenti caratteristiche spaziali e temporali si è rivelato uno strumento robusto e affidabile per l’individuazione e il tracciamento degli eventi vulcanici.

 

MonitoraggioSatellitare

 

In particolare vengono processati: (i) dati ad alta risoluzione temporale e a bassa risoluzione spaziale, come le immagini acquisite dai sensori EOS-MODIS e MSG-SEVIRI, per l’individuazione dell’eventuale attività termica e la stima del tasso effusivo; (ii) dati a più bassa risoluzione temporale, ma ad alta risoluzione spaziale, come le immagini acquisite dai sensori Sentinel-2 MSI e Landsat-8 OLI, per la localizzazione delle zone interessate dall'attività termica e la mappatura dei campi lavici; (iii) dati ad altissima risoluzione spaziale acquisiti in configurazione stereo o multi-view, come le immagini Pléiades o WorldView-3, per la generazione di modelli digitali del terreno.

Monitoraggio dilatometri in pozzi profondi (borehole dilatometers)

Per il monitoraggio e lo studio delle sorgenti vulcaniche risulta di notevole importanza riuscire a misurare con estrema precisione le variazioni di strain che subisce la roccia superficiale (cioè la deformazione che subisce in seguito all'azione di una forza).

Questo obiettivo è perseguibile attraverso l’utilizzo di strumenti in generale noti come borehole strainmeters (strainmeter in fori profondi trivellati), che solitamente sono installati in fori profondi (> 100 m) per attenuare i disturbi ambientali e migliorare la rilevazione di segnali fini (Fig. 1, 2, 3).

Questi strumenti sono predisposti per rilevare le componenti dello strain a cui è sottoposta la roccia a loro circostante, e nel caso in cui misurano la componente totale volumetrica dello strain sono definiti e noti come borehole dilatometers (dilatometri in fori profondi trivellati). I dilatometri da pozzo sono gli strumenti più sensibili alle variazioni dello stato degli sforzi finora realizzati a fini geofisici (sensibilità nominale DV/V fino a 10 -12 ).

Fig. 1 Foto1 DEGI DSC 4666

Figura 1. Etna, M.te Egitto. Fasi di installazione di un dilatometro in pozzo trivellato.

Fig. 2 Foto2 DMSC DSCN3497

Figura 2. Etna, M.te Scavo. Fasi di installazione di un dilatometro in pozzo trivellato.

Fig. 3 Foto3 DPDN DSC 3979

Figura 3. Etna, Pizzi Deneri. Fasi di installazione di un dilatometro da pozzo.

Lo strumento di base consiste di un tubo cilindrico riempito di specifico fluido (solitamente olio di silicone), che viene installato in un foro trivellato ponendolo in contatto con le pareti rocciose del foro attraverso l’utilizzo di appositi cementi ad alta espansione, che consentono un perfetto accoppiamento strumento- mezzo. La variazione di livello del fluido interno indotta nello strumento dalla variazione dello strain nel mezzo circostante è quindi misurata con estrema precisione attraverso un apposito sensore.

La risposta e l’accuratezza finale dipendono da vari fattori quali la buona riuscita dell’accoppiamento strumento – mezzo circostante, la qualità della roccia dove si installa lo strumento, possibili disturbi ambientali (movimenti di falda, pressioni di poro indotte dalle piogge, variazioni profonde di temperatura). Pertanto, la risposta finale dello strumento si deve verificare con apposite tecniche di calibrazione in situ, dopo che è stata completata l’installazione. La tecnica più diffusa è quella di confrontare la risposta strumentale con le variazioni mareali lunari attese sulla Terra (variazioni di strain attese dell’ordine 10 -9 ).

Dopo una lunga fase preparatoria sull’Etna è stata installata una rete composta da 4 dilatometri installati in pozzi trivellati sino a profondità comprese tra i 120 -200 metri. Questa attività è avvenuta in due fasi successive (2010-2011 e 2014), rispettivamente supportate da due progetti di ricerca FIRB e PON. Tre dei siti prescelti si trovano nel versante occidentale dell’Etna presso presso Monte Ruvolo (DRUV), Monte Egitto (DEGI) Monte Scavo (DMSC) posizionati a distanze dal Cratere Centrale rispettivamente di 10 km, 6 km e 4.8 km. La quarta stazione è stata installata in località di Pizzi Deneri (DPDN), in prossimità dell’omonimo osservatorio vulcanologico di alta quota (2800 m s.l.m.), distante circa 2.4 km dal Cratere Centrale (Fig. 4a ).

La rete è stata dunque realizzata con le installazioni poste lungo un profilo in direzione radiale con distanze crescenti dall’area sommitale verso il fianco esterno del vulcano. Questo con lo scopo di ottenere anche un modellazione delle sorgenti attraverso il decadimento dei loro effetti di strain con la distanza di registrazione (Fig. 4b).

Fig. 4ab mappa Etna W E section v1

Figura 4. a) Mappa dell’Etna con l’ubicazione dei siti della rete dei dilatometri in pozzo. b) Foto del golfo di Catania con l’Etna vista da Sud. Sul profilo O-E sono indicate le posizioni dei siti delle stazioni dilatometriche.

Sull’Etna la rete dilatometrica si è rivelata uno strumento efficace sia nel registrare ad altissima sensibilità le variazioni di strain dell’edificio vulcanico in risposta alle differenti attività eruttive (fontane di lava, attività effusiva, intrusioni) (Fig. 5) che nel contribuire alla definizione delle caratteristiche e meccanismi della sorgente vulcanica, nonché dei volumi emessi.

Fig. 5 fontana 11Nov2011

Figura 5. Variazioni di strain registrate durante la fontana di lava del 15 novembre 2011

Misure in telerilevamento (Remote sensing)

Alcuni gas vulcanici in base alla loro abbondanza rispetto al tipico contenuto ambientale in atmosfera, ben si prestano ad essere rilevati con metodi di telerilevamento (ad es.: SO2, BrO, HCl e HF, NO2). Ciò permette di risalire ai flussi emessi dai crateri e/o alla composizione chimica del plume vulcanico tramite i rapporti di concentrazione tra alcune specie e la loro temperatura. Il principio generale del telerilevamento è quello di ottenere informazioni di un dato oggetto a distanza senza essere a contatto fisico con l’oggetto stesso. Nel caso delle misure dei gas vulcanici, il telerilevamento si avvale della spettrometria che è quel ramo della scienza che permette di misurare lo spettro di emissione (o di assorbimento) di un gas tramite tecniche di misurazione delle lunghezze d'onda e delle rispettive intensità nel campo elettromagnetico. Ciò è possible grazie al fatto che specie diverse di gas possono essere identificate sulla base dei loro caratteristici spettri di assorbimento/emissione (Fig 1).

 

Fig. 1: rappresentazione della geometria di acquisizione in telerilevamento dei gas vulcanici. La radiazione elettromagnetica che attraversa un gas vulcanico subisce delle attenuazioni (assorbimento), tramite queste attenuazioni si può risalire al tipo e alla quantità di gas.    

L’INGV di Catania è un pioniere nel mondo per la misura dei gas vulcanici tramite telerilevamento da terra (Fig. 2). Le tecniche di telerilevamento utilizzate operano nella lunghezza d’onda dell’ultravioletto (spettrometri UV con tecnica COrrelation SPECtrometer - COSPEC, con Differential Optical Absortion Spectroscopy (DOAS) o in Intensity fitting e telecamere UV)  e dell’infrarosso (spettrometri Fourier Transform InfraRed – FTIR). Inoltre, la misura del calore rilasciato da un corpo caldo, in questo caso da un’emissione gassosa, può essere effettuata da remoto (thermal remote sensing) per la proprietà fisica che hanno tutti i corpi a temperatura maggiore dello zero assoluto, di emettere calore come manifestazione del loro stato energetico. Le misure di temperatura da remoto effettuate nell’ambito dell’Area Operativa ‘Geochimica dei gas ‘ si avvalgono dell’utilizzo di radiometri, sensori che operano nella porzione dello spettro denominato ‘infrarosso termico’. La determinazione del calore rilascato dai gas insieme alla composizine chimca e flussi dei gas, permette di comprendere le dinamiche eruttive. 

Fig 2: spettrometri COSPEC e FTIR-Midac per la misura in telerilevamento dei gas vulcanici 

Misure di flusso di SO2

Le misure di flusso di SO2 in telerilevamento sono eseguite mediate l’uso di spettrometri UV, COSPEC, spettrometri-CCD e telecamere sensibili all’ultravioletto. La tecnica di misura consiste nell’eseguire dei transetti del plume vulcanico installando lo spettrometro su un mezzo mobile oppure mantenendo lo strumento da posizione fissa (rete di spettrometri Scanner e telecamere UV; fig 3). Determinata la concentrazione del gas nella sezione del plume, con semplici calcoli si risale al flusso del gas conoscendone la velocità di spostamento, che è la velocità del vento.

Fig 3. Tecnica a traverse. Da destra verso sinistra, lo spettrometro viene installato su un mezzo mobile (auto, barca elicottero) o anche trasportato da una persona e vengono eseguiti dei transetti del plume vulcanico che forniranno la concentrazione dell’SO2 verso la distanza o tempo.

Misure di flusso di SO2 tramite COSPEC e spettrometri-CCD

Lo spettrometro a correlazione COSPEC (COrrelation SPECtrometer) è uno strumento ottico in telerilvamento che opera nell’ultravioletto e che permette di rilevare a distanza la concentrazione di anidride solforosa (SO2 e NO2) nel suo campo visivo (fig 4 a). Dal rapporto dei massimi e dei minimi di energia misurati è possibile risalire alla concentrazione del gas nel plume vulcanico che sta assorbendo parte dello spettro elettromagnetico nella banda dell’ultravioletto. Un ulteriore tipo di spettrometro UV è basato su CCD e permette di rilevare simultaneamente più specie di gas (eg SO2, BrO NO2, ClO: fig 4 b e d).

Fig 4: spettrometri utilizzati per la misura del flusso di SO2 in telerilevamento, in (a) COSPEC, (b) spettrometri-CCD, (c) spettrometro scanner FLAME e (d) misure tramite spettrometri CCD.

Misure di flusso di SO2 tramite tramite rete di spettrometri a scansione FLAME

Lo spettrometro a scansione FLAME (FLux Automatic MEasurement) è uno spettrometro automatico che esegue da postazione fissa la scansione del cielo sovrastante e che permette di il rilevamento in continuo ed in tempo reale del flusso di anidride solforosa (SO2) emessa dal vulcano. Gli spettrometri a scansione FLAME costituiscono le reti di rilevamento automatico sull’Etna, Stromboli e Vulcano e permettono di avere un dato di flusso ogni ~ 5 minuti (fig 4 c).

Una rete FLAME è stata installata per alcuni mesi sul vulcano Chaparrastique (El Salvador).

Telecamere UV

 Si tratta di un sistema di telecamere CCD sensibili all’ultravioletto che permettono di misurare il flusso di SO2 emesso dai vulcani a livello di secondi (fig 5). Queste telecamere sono dei dispositivi utilizzati per catturare sequenze di immagini di un pennacchio vulcanico (la dispersione atmosferica dei gas vulcanici). Le immagini sono registrate usando dei filtri ottici che consentono di registrare porzioni limitate della radiazione solare in arrivo. Esponendo simultaneamente due telecamere, si può quantificare l’assorbimento selettivo della luce solare in arrivo da parte della SO2 vulcanica e lo si può convertire in un flusso di SO2 (massa di SO2 rilasciata per unità di tempo).

Fig 5: sistema di telecamera UV, e plume vulcanico emesso dal Popocatépetl (mexico) registrata nell’ultravioletto e immagine elaborata e convertita in concentrazione di SO2 

FTIR

La composizione della fase gassosa emessa da un vulcano può essere determinata utilizzando uno spettrometro infrarosso a trasformata di Fourier (FTIR- Fourier Transform Infrared Spectroscopy).

La spettroscopia IR a trasformata di Fourier o FTIR, viene realizzata utilizzando un interferometro, che permette la scansione di tutte le frequenze presenti nella radiazione IR generata dalla sorgente. La scansione è possibile grazie a uno specchio mobile che, spostandosi, introduce una differenza di cammino ottico, che origina una interferenza costruttiva o distruttiva con il raggio riflesso da uno specchio fisso. In questo modo si ottiene un interferogramma che mostra la rappresentazione dell'intensità nel dominio del tempo. Applicando la trasformata di Fourier si ottiene lo spettro infrarosso, ovvero la rappresentazione dell'intensità nel dominio della frequenza.

La tecnica prevalentemente utilizzata sull’Etna, durante i periodi di quiescenza prevede l’utilizzo del sole come sorgente di radiazione infrarossa (metodo ad occultazione solare, Fig. xx),  ma è altrettanto possibile utilizzare altre sorgenti, come un’attività stromboliana o di fontanamento, oppure anche una sorgente artificiale (metodo attivo, Fig. 6). 

Fig. 6: Acquisizione di spettri tramite FTIR in varie configurazioni.

Utilizzando la metodologia FTIR si determinano le principali componenti gassose rilasciate dall’attività di degassamento craterico (H2O, CO2, SO2, HCl, HF e CO) mediante analisi spettrale delle componenti radiative del gas.  Il grande vantaggio dell’utilizzo del FTIR consiste nella possibilità di misurare simultaneamente tutte le lunghezze d’onda, permettendo così di determinare la composizione istantanea del plume vulcanico rilevando nello stesso istante più componenti gassose (Fig. 7).

Fig7: esempio di spettro acquisito in cui si osserva la simultanea presenza di linee di assorbimento di HCl (a) e SO2 (b).

Attraverso la successiva conversione in rapporti molari delle specie gassose sopra elencate si caratterizza qualitativamente la componente volatile emessa. L’analisi degli spettri è eseguita mediante confronto con spettri simulati da un modello che tiene conto sia dei parametri atmosferici, quali temperatura e pressione, che di quelli vulcanici.

Thermal remote sensing

 Tra le tecniche di telerilevamento di pertinenza dell’Area Operativa ‘Geochimica dei Gas’, vi è anche quella del telerilevamento all’infrarosso termico operato attraverso l’utilizzo di radiometri. Questi strumenti nel tempo si sono dimostrati utili per caratterizzare l’attività esplosiva e i suoi cambi di regime. Il vantaggio dei radiometri sta nel basso costo e nella capacità di registrare dati ad alta frequenza (nell’ordine di 50 Hz). La possibilità di registrare variazioni termiche ad alta frequenza di campionamento permette di caratterizzare e parametrizzare le forme d’onda associate alle esplosioni che le hanno generate e di derivare tutta una serie di parametri quali la velocità del getto di gas, la sua accelerazione, l’energia rilasciata ecc. Sull’Etna, l’INGV-OE dispone di una rete permanente di tre radiometri integrati in tre stazioni sommitali multi-parametriche e di un radiometro portatile. Questi strumenti, oltre che fornire dati confrontabili con misure geochimiche, permettono di ottenere serie temporali relazionabili con le misure derivate da osservazioni geofisiche quali ad esempio il tremore vulcanico e le misure infrasoniche.

Misure in-situ

Campionamento diretto

Il modo più semplice, ma spesso il più difficile e pericoloso, per raccogliere un campione è quello di prelevarlo in modo diretto dal suolo, da fumarole o da manifestazioni subacquee. La difficoltà è dovuta alle temperature talora molto elevate, al pericolo che deriva dalla tossicità delle emissioni di gas e della possibilità di contaminazione del campione da parte dell'atmosfera.

Il metodo più semplice di campionamento diretto di gas dal suolo prevede l’infissione nel terreno di un fioretto cavo di acciaio, lungo circa 50 cm, forato alle estremità e dotato di finestrature nella sua parte finale. All’interno del foro viene inserita una sonda metallica (o, nel caso di gas caldi, un tubo dewar) che è collegata, tramite un tubo ed un rubinetto a tre vie, ad una siringa e ad un campionatore a due valvole. Nel caso di campionamento di gas gorgoglianti dal fondo marino o da polle d’acqua o fango, il fioretto viene sostituito da un imbuto di acciaio o plastica.

Posizionando opportunamente il rubinetto a tre vie, la siringa viene usata alternativamente per aspirare lentamente i gas dal suolo e per convogliare i gas raccolti all’interno del campionatore.

Per assicurare la minor contaminazione possibile da parte dell’aria atmosferica, il campionatore viene “avvinato” a lungo facendo fluire al suo interno il gas proveniente dal suolo/fumarola pompandolo con la siringa. Il campionatore viene chiuso solo dopo aver ripetuto l’operazione un adeguato numero di volte.

Misure di flusso di CO2 dai suoli

La CO2 è il principale gas che normalmente viene emesso attraverso i fianchi di un vulcano attivo, anche durante periodi di quiete. Una delle applicazioni delle misure di flusso di CO2 è quella di effettuare prospezioni spaziali della distribuzione delle anomalie di gas nel suolo.

Lo strumento utilizzato è costituito da uno spettrofotometro infrarosso che, in combinazione con una camera d’accumulo, permette di valutare il flusso di CO2 diffusa dal suolo.

La camera d’accumulo, collegata allo spettrometro all’infrarosso, viene poggiata sul terreno con la parte aperta verso la superficie del suolo; il gas si diffonde all’interno della camera d’accumulo, viene omogeneizzato per mezzo di una ventola, spinto nella cella di lettura da una pompa e, infine, viene indotto a completare il circuito garantendo, così, che il volume fluido all’interno dello strumento resti sempre costante.

All’interno del circuito chiuso, la concentrazione di CO2 aumenta gradualmente e lo spettrofotometro all’infrarosso registrerà un incremento progressivo della concentrazione di CO2 nel tempo, avente un andamento complessivamente iperbolico.

Per valutare il flusso di CO2 si prende in considerazione soltanto il primo tratto della curva, che ha andamento lineare (corrisponde ai primi 15 secondi della misura, che dura in tutto 38 secondi). Il coefficiente angolare della retta concentrazione/tempo consente di risalire al valore di flusso di CO2.

Misure di attività di Radon

Il Radon (222Rn) è l’unico gas radioattivo naturale esistente in natura, deriva dalla catena di decadimento dell’ Uranio (238U) e ha un’emivita (tempo di dimezzamento) molto breve (3,8 giorni). Il Rn decade emettendo una particella a, cioè un atomo di 4He.

Il decadimento a può essere immaginato come una vera e propria esplosione; ciò permette al Rn di migrare dalla sorgente fino in superficie solo se le condizioni sono favorevoli. Infatti, se l’”esplosione” si verifica in una porzione interna della roccia, il Rn si sposta per tutt’al più di qualche centimetro; se, invece, il decadimento avviene in prossimità dei pori della roccia, esso può essere preso in carico da un gas carrier (ossia trasportatore) e può spostarsi anche a chilometri dalla sorgente. Se la velocità del carrier (ad esempio CO2 o metano) è sufficiente, il Rn arriva in superficie prima che decada completamente e possiamo misurarne l’attività.

In generale, se la velocità del gas carrier è costante, il 222Rn percorre tra i 50 e gli 80 m al giorno, per cui non può giungere in superficie da sorgenti che siano a profondità superiori al chilometro. Le variazioni di attività del Rn sono legate ad eventuali fluttuazioni del gas carrier e/o a variazioni della permeabilità delle rocce, cosicchè il Rn è un indicatore dello stato di fratturazione delle stesse. Le misure di attività di Rn vengono associate a quelle di flusso di CO2, che rappresenta il gas carrier principale nel suolo. L’attività di Rn viene misurata con un radonometro, uno strumento a camera di scintillazione, cioè una camera interna vuota le cui pareti sono cariche elettrostaticamente.

Lo strumento viene collegato al suolo per mezzo di un fioretto (lo stesso usato per il campionamento diretto). Il gas viene pompato tramite un tubo, passa attraverso un filtro che assorbe tutta l’umidità, ed entra nella camera a scintillazione.

Ogni volta che il Rn decade, producendo particelle a, esse vengono letteralmente “sparate” contro le pareti della camera (che sono cariche elettrostaticamente), producendo una variazione del potenziale elettrico, che viene conteggiata e segnalata da un “bip” sonoro.

Alla fine della misura, il display mostra l’attività di 220Rn misurata in [Bq m-3], dove 1 Bq (Becquerel) corrisponde a una disintegrazione al secondo.